nero

racconti brevi
(dove trovi qualcosa di me)







Marilyn

Quando ripenso alla mia infanzia non ho molti ricordi, non ci sono state persone importanti. Ho vissuto in molti luoghi ma nessuno in fondo mi è mai appartenuto. Ricordo con tristezza persone dure, meste o insignificanti e ricordo di non aver mai ricevuto un complimento.
Penso che a tutte le bambine dovrebbe essere detto che sono carine, anche quando non lo sono, non credete? Da allora parecchie cose sono cambiate, io, sono cambiata. A volte essere quella che sono è un carico pesante da portare sapete, soprattutto quando si è stanchi, feriti e confusi.
Hanno mandato il solito autista a prendermi, ora mi sta aspettando.
Sono così stanca, non ho nessuna voglia di uscire dal letto, rannicchiata, avvolta e protetta dalle lenzuola. La luce filtra appena dalle spesse tende accostate. Perché mai in questa città deve sempre splendere il sole? E’ così crudele, mostra tutto, anche quello che non vuoi far vedere, ogni stupido particolare.
Mi costringo ad alzarmi, mi guardo allo specchio, se mi vedessero in questo momento, sono un vero disastro. Perché ci sono tutti questi specchi nel bagno? 

Indosso l'accappatoio bianco mentre apro il rubinetto dell’acqua nella grande vasca, l’abbiamo scelta grande la vasca, ricordi? Per poterla usare insieme, tu ed io. 
Nulla di questa casa abbiamo mai usato insieme! Quando ci sei tu non ci sono io e viceversa. 
L’arredamento e gli accessori li ho voluti bianchi, insieme al rosso è uno dei mie colori preferiti.

Tu lo sai che io amo il rosso. Non mi fai mai mancare dozzine di rose rosse, ogni giorno.

Mi avvicino allo specchio, mi osservo meglio socchiudo leggermente gli occhi, con le labbra accenno il broncio, mi mordo il labbro inferiore; controllo il mio profilo, il lato migliore quello sinistro, anche senza trucco i lineamenti sono perfetti. 
So che ti faccio soffrire terribilmente, ma non mi piacciono i tuoi modi. Ti ho creduto un semplice, poi mi sei sembrato davvero speciale, ma ora... ora. Sei crudele!

Entro nell’auto con i vetri oscurati; l’autista discreto rimane in silenzio per tutto il tragitto. Ogni volta viene a prendermi con un auto diversa ma sempre di colore scuro, mai con una limousine.
Sul sedile trovo le solite rose rosse senza biglietto legate con un semplice nastro di raso bianco.  Solo mezz’ora di strada mi separa da Lui.

L’ho conosciuto ad un party in collina.
In quel periodo partecipavo a trasmissioni televisive, servizi fotografici, interviste radiofoniche; mi dividevo fra prove costumi, registrazioni, prove sul set e poi passavo da una festa all’altra senza sosta. Quella sera ero davvero su di giri e forse complice il troppo champagne, abbandonato l’abito sul bordo, mi tuffavo in piscina.
Nuotare nuda mi dava una tale sensazione di libertà, libertà da quella ingombrante “me stessa”. Finalmente io, soltanto io; senza il mio corpo, in contatto solo con la mia anima.
Immersa nell'acqua ogni rumore era attutito e finalmente potevo non sentire più tutte quelle stupide voci, potevo finalmente ascoltare la mia voce. Era una tale consolazione potermi ascoltare, nessun altro lo faceva, a parte lui che ora era lì a bordo piscina, vicino alla scaletta con un accappatoio in mano. Il suo sguardo dolce e triste allo stesso tempo e un sorriso appena accennato.
- Mi tratti come una cosa tua, mi attribuisci colpe che non ho. -
Sapevamo entrambi cosa ci avrebbe riservato la vita insieme. I mie innumerevoli impegni, i tuoi innumerevoli ritiri e allenamenti.
Io, io ho creduto tu mi amassi davvero, che tu amassi me per quella che sono. Ora so che per te le persone non esistono, sono cose da possedere e una moglie è solo un altro oggetto da mettere in mostra.

Lui no, l’uomo della piscina quando mi guarda vede me, la donna che sono, le mie fragilità, la mie paure. Lui, così diverso dal fratello. Timido e introverso, incapace di  parlarmi del suo desiderio che percepisco sulla pelle, lo vedo scritto nei suoi occhi, so che non troverà mai il coraggio nemmeno di ammetterlo con se stesso ed io non so fino a quando resisterò a stargli lontano. Gli sono così grata di tanta delicata attenzione.

So di essere una persona terribile e non so cosa farci perché questa è la mia natura che mi piaccia o no, non riesco ad essere diversa e mi odio per questo.

Immersa nei miei pensieri il tempo era trascorso velocemente e già intravedo l’ingresso al grande viale che conduce al cottage nascosto da un rigoglioso parco.
Sono confusa perché quel cottage era stato il luogo dei molti incontri con il fratello. Un uomo così carismatico, bello, pieno di fascino.
Il fascino di chi è avvezzo a gestire il potere, a conviverci tutti i giorni; passionale, abituato ad avere sempre ciò che vuole. Il solo per cui essere un trofeo, un corpo, la sua Star. Eccitante e indispensabile come lo champagne, inebriata al solo vederlo.
Lui sapeva di noi, di me e del fratello, ed io sapevo del suo desiderio ma ora ero confusa sul motivo di questo nostro incontro.
Lui mi accoglie nella grande sala del camino, il suo viso è cupo, i suoi modi sono dolci e gentili.
- Volevo parlarvi, Marilyn. Avrei voluto parlarvi, a dire il vero, della ragione di Stato e di molte altre cose riguardo voi e mio fratello ma osservandovi quella sera in piscina ho compreso di voi qualcosa che mi attira come il miele.
Voi avete una natura plasmabile e vi plasmate per aderire il più possibile al vostro uomo dando tutta voi stessa alla disperata ricerca di riceverne amore e comprensione, siete come la plastilina nelle mani dello scultore ma quel che è più incredibile di voi  è che solo voi siete lo scultore che modella e rimodella cambiando forma senza mai alterarne l’essenza, la materia. E mi duole vedervi vicino a soggetti che portano solo sofferenza e infelicità, io sono proprio un altro di quei soggetti.
Voi rappresentate tutto ciò che io rifuggo e l’amore per voi mi cagionerebbe guai e incoerenza, eppure contro ogni ragione io vi amo perché siete fragile come il cristallo di rocca e dura come il diamante che non può essere scalfito. -
Era così vicino nel dirmi le ultime parole che potevo sentire il suo respiro sul viso; le lacrime mi riempivano gli occhi, il cuore era gonfio nel petto, il dolore era tale che pensavo mi si sarebbe spaccato in quel momento. 
Ma lui mi stringeva a se e baciandomi come se fosse stato l’ultimo bacio prima dell’addio e non il primo.
Confusa e senza respiro ritornavo alla macchina mentre lui ordinava all’autista di riportarmi a casa. 

Sono rimasta chiusa in casa per giorni, cercando di non pensare a nulla, continuando a dormire, dormire e ancora dormire.
Avevo lasciato tutti gli impegni in sospeso, e questi incuranti del mio stato d’animo reclamavano la mia presenza. Nei pochi momenti lucidi chiamavo il suo numero, continuavo a chiamare e chiamare ma lui non rispondeva.

Qualche tempo dopo chiesi il divorzio da Joe.

Mi ero illusa che se avessi messo della cultura in quella mia testa forse sarei apparsa diversa.
Prima credevo potesse bastarmi essere bella, desiderabile e famosa per colmare il vuoto che ho sempre sentito dentro.
Pensavo che sarebbe bastato essere una diva voluta da tutti per essere amata per non sentirmi sola per rendere la mia vita diversa da quella che avevo sempre avuto.
Pensavo che se avessi amato un uomo colto, intelligente avrebbe saziato la mia sete di conoscenza e lui in cambio mi avrebbe guardato in fondo all’anima e mi avrebbe vista per quella che sono e forse non mi sarei sentita più tanto sola. Arthur, amore mio, tu sei stato la mia più grande delusione. 
Tu più di tutti gli altri hai guardato solo l’aspetto fisico, tu come molti altri hai sfruttato la mia fama.

Continuo a chiamare il suo numero, continuo a chiamare, a chiamare e chiamare ma lui non risponde. Il telefono squilla ma lui non risponde -perché non rispondi?- -Perché?-

Non c’è posto dove nascondersi per non sentire il dolore, in cui scappare o rintanarsi il dolore ti insegue e non ti da tregua.
Nemmeno le lacrime che mi annebbiano la vista e mi rigano il viso servono ad allentare il dolore.
Compongo il tuo numero, squilla, è libero ma tu non rispondi.
Perché non rispondi? Ora voglio solo dormire!

Los Angeles 5 Agosto 1962





 

L'uomo che vorrei

Ho bisogno di dirti che mi manchi da morire
mi mancano quei racconti che mi lasciavano a bocca aperta
dei tuoi viaggi d’avventura dove tu per me eri l’eroe della storia
Mi manca il tono basso e sensuale della tua voce
che mi obbligava ad avvicinarmi per sentirti quando eravamo in mezzo a tanta gente
quel tono calmo e sicuro anche quando eri alterato
e poi mi manca l’ironia che avevi per la mia ingenuità e goffaggine
Mi manca il tuo passo veloce e il tenermi per mano
una stretta salda pronto a sorreggermi, inciampo sempre anche adesso
mi manca il tuo guardarmi dritto negli occhi
e i fiumi di parole, le parole non le facevi mai mancare
e mi mancano i tuoi sorrisi di labbra morbide e denti bianchissimi
e il tuo odore dolce e secco di pelle abituata al sole
e la forza del tuo corpo muscoloso e proporzionato
mi manca la tua anima profonda come il mare
e limpida come l’acqua di un ruscello
mi mancano i tuoi silenzi e lo sguardo perso verso chissà quali pensieri
la tua guida veloce e aggressiva
mi mancano le tue lacrime
mi manca la tua passione per la vita e per l’amore
mi manca quel tuo lato oscuro che mi nascondevi
pensando io non fossi pronta a conoscerlo
si ho bisogno di dirti che mi manchi da morire





 


Nikita

Mi sono sempre chiesta com’è che lo Stato, quello nascosto, recluta i suoi assassini. Ho pensato che venissero scelti in base ad uno stato di servizio eccellente nell’Esercito o una cosa del genere.
Non certo come in quel film, Nikita. Già, quella è tutta un altra storia!
Beh cazzo, quella è la mia storia!
Oggi esco per la prima volta dalla “palestra”. Non mi è mai sembrata tanto fresca l’aria e azzurro il cielo. E’ la prima volta in assoluto in tutta la mia vita che percepisco cose come l’aria o l’azzurro.
Ed è la prima volta che mi sento viva e non ho ancora deciso se mi piace o no questa sensazione.
Mi hanno dato un indirizzo ed una chiave.
Non so dove mi trovo ho bisogno di orientarmi, chiedo all’uomo dell’edicola.
Quell’uomo mi ha dato l’indicazione che cercavo, mi ha guardato con occhi gentili e mi ha parlato con un tono di voce cordiale. Ho pensato che non rispondesse a me, ma intorno non c’era nessun altro.
Salgo sull’autobus, indosso gli occhiali da sole, ho paura, mi manca il respiro scendo subito dopo.
Devo farmela tutta a piedi non resisto lì dentro chiusa.
Finalmente sono arrivata all’indirizzo indicato sul foglio, Appartamento 2A, secondo piano.
Corro su per le scale, evito l’ascensore, apro la porta, non voglio incontrare nessuno.
Mi chiudo la porta alle spalle, finalmente ora respiro.

Mai avuto una casa così. Bella! Letto fantastico, enorme. Le lenzuola sono perfino profumate.
Sulla scrivania un computer.
Davanti al letto il televisore, lo accendo. Che ci troveranno di bello nel guardare dentro quella scatola, mah!
L’armadio pieno di vestiti, tutti neri che fantasia!
Accendo la radio, MUSICAAAAAA!
Lancio le scarpe in un angolo, butto il vestito in terra ho bisogno di una doccia.
Non aspetto che l’acqua si riscaldi, entro e mi metto sotto il getto ancora freddo!
Con l’acqua scivola via tutto, tutto quello che sono stata fino a oggi. Cancellato! Ripulito!
Dopo quasi un’ora sono ancora lì, il caldo dell’acqua mi scotta la pelle, apro gli occhi!
Ora devo solo dormire.

-Dovrai passare inosservata- mi hanno detto.
Non ci penso nemmeno a starmene chiusa tra quelle quattro mura bianche asettiche tutto il giorno.
Mi piace camminare in questo quartiere, le strade sono piccole, ordinate e pulite, ci sono aiuole e fiori e alberi che in questa stagione sono pieni di foglie di un verde brillante.
Le auto parcheggiate in un solo lato della strada.
Ormai riconosco anche le persone, come la vecchia del primo piano che esce tutte le mattine alle otto in punto e dopo mezzora è già di ritorno con la borsa della spesa.
L’ho seguita più di una volta; cammina così lentamente che mi vien voglia di prenderla sottobraccio e farle aumentare il passo; si ferma a prendere il pane: una baguette morbida e del pane secco, che sbriciola sul davanzale con il risultato che quel lato dell’ingresso vicino alla sua finestra è piena di escrementi di uccelli.
A parte i passeri farei volentieri il tiro al bersaglio ai piccioni, tanto sono disgustosi.
Altre volte mi chiudo nel supermercato in fondo al quartiere, prendo il carrello, giro per le corsie e lo riempio di cose inutili: salsa chili, burro di arachidi, formaggio ricoperto al pepe, Tacos messicani, cioccolato all’arancio; oppure come adesso tutte le marche di birra che trovo sullo scaffale.
Poi vado alla cassa 7 dove c’è uno, non male, giovane, con occhi gentili, mi sorride e fa sempre qualche battuta scema.
Torno a casa, apprezzo la solitudine, il silenzio, ne ho bisogno.
Metto in fila le bottiglie di birra sul tavolo della cucina, poco distanziate l’una dall’altra in ordine di altezza, addento una mela, mi butto sul letto mi
allungo per arrivare alla scatola sotto il letto, prendo l’M9, mi giro, prendo la mira - bang!- 15 colpi, 15 bottiglie centrate.

Suona il telefono -Joséphine?-
Esco dalla doccia prendo dall’armadio un abito nero aderente e corto, lo butto sul letto, scarpe nere col tacco.
Sono le 20,30.
Torno in bagno dove c’è uno specchio tondo che ingrandisce le immagini, uno di quelli che usavo al corso di trucco di Marguerite.
Non mi ero mai truccata prima di allora e per molto tempo l’ho trovata una cosa noiosa; incomprensibile quel suo insistere a enfatizzare lo sguardo.
Un paio di volte Marguerite ci aveva portato in locali notturni per mostrarci le tecniche di seduzione.
Il mio approccio con gli uomini, fino a quel momento, era stato diretto, il gioco di sguardi mi sembrava solo una perdita di tempo.
A lungo andare gli insegnamenti di Marguerite mi avevano fatto apprezzare le piccole cose, i gesti lenti nell’avvicinare un calice di vino prezioso, sentirne il profumo intenso salire nelle narici gustarne il sapore prima sulle labbra e la lingua per poi inondare le papille con un sorso pieno mentre gli occhi rimandano le sensazioni e le emozioni provate.
Avevo imparato ad evidenziare il mio viso e il mio corpo attirando l’attenzione sul particolare così da potermi muovere indisturbata nel maneggiare le armi del mio mestiere.
Accendo la piccola luce dietro lo specchio, prendo il correttore ne metto un po’ sul dito medio con leggeri movimenti copro l’alone scuro sotto gli occhi, qualche goccia di fondotinta fluido a levigare la pelle del viso.
Col pennello intinto nella polvere rosa evidenzio gli zigomi, poi prendo la matita nera con la mano sinistra allungo l’occhio con l’altra disegno una linea nera appena sopra le ciglia arrivando oltre l’angolo esterno, faccio lo stesso con l’altro occhio.
Alla radio suonano Crazy di Seal.
Con un pennello piccolo prendo del colore rosa in polvere che stendo sulla palpebra fino sotto l’arcata del sopracciglio sfumando il colore verso l’esterno, allo stesso modo sfumo il colore nell’altro occhio.
Con il piegaciglia le incurvo prima di passarci il mascara nero, insisto per renderle più lunghe e folte.
Con la matita rossa segno il contorno delle labbra, leggermente all’esterno per renderle più grandi poi riempio di piccoli segni rossi l’interno, stringo le labbra a uniformare il colore per poi coprire il tutto con il rossetto rosso e un tocco di lucida labbra trasparente.
Indosso orecchini di perla, nessun altro gioiello.
Abito, scarpe, prendo la borsa con l’M9, esco!

Ore 21,15.
Pochi secondi, chiamo -Taxi?- Il taxi si ferma; sul sedile c’è una busta la apro, leggo l’indirizzo. C’è anche una foto.

Ore 21,45.
Entro nel locale, mi fermo al banco del bar chiedo un gin-lemon. Mentre aspetto metto il silenziatore, mi giro e individuo l’uomo. La luce è soffusa nel locale, la musica è di sottofondo, sorseggio il mio gin. Mi alzo, in una mano la borsa nell’altra l’M9 appena nascosta dietro la coscia. Mi avvicino camminando lentamente, punto l’arma dritta sul cuore dell’uomo sparo e proseguo verso il bagno.
Non ci sono uscite da quella parte, provo nell’altro bagno, c’è un finestra.









Gilda

Mio adorato Johnny,
 sei per me una malattia che mi divora il cuore e annebbia la mente. Un giorno ti amo e subito dopo ti odio con tutta me stessa. Non so nemmeno perché mi fai quest’effetto in fondo sei solo un mascalzone senza cuore, un ladro e un baro. Nulla di ciò che abbiamo vissuto dovrebbe essere tenuto, nel tuo ricordo c’è la mia solitudine, la tua crudeltà. 
Ancora ripenso a quando fingesti di amarmi e mi convincesti a sposarti, mi rendesti la vita impossibile impedendomi ogni passo, ogni movimento. Non potevo averti e non potevo sfuggirti. 


La prima volta che ti vidi al locale di Ballin, ricordo, mi facesti una strana impressione, fosti gentile ma freddo, gelido, sembravi infastidito e c’era qualcosa nel tuo sguardo che mi impressionò: mi guardasti con un odio profondo, eppure io non ti avevo mai visto prima di allora.


Cerco di mettere insieme i frammenti delle frasi insensate che dicesti quella sera quando ti supplicai di lasciarmi libera, di lasciarmi andare via: mi urlasti tutto il tuo odio e che meritavo di restare rinchiusa. Questa era la tua vendetta per ciò che ti avevo fatto: rabbia, rancore, orgoglio, gelosia ti facevano parlare in quel modo ma io non trovavo nessun vero motivo per tanta ostilità. Ti odiai, come mai prima,  il giorno che decidesti di andartene da Buenos Aires, lasciandomi  sola con lui.

Sono stata uccisa molte volte e questa è solo l’ennesima. Ballin è morto: gli hanno sparato quelli del FBI mentre cercava di fuggire; il locale è stato chiuso e tu, Johnny,  tu sei fuggito e non so dove sei.
Sono passati due mesi d’inferno. Ho lavorato nei night della zona ma ora devo andarmene, devo lasciare Buenos Aires. Tornare a casa.

La mia famiglia vive in un’immensa fattoria a Cordoba, sono allevatori da generazioni, sono ricchi e potenti. Porto con me solo odio e arroganza, le stesse con cui me ne andai da casa dieci anni fa.

Attraverso la vasta pianura, la riconosco, non mi è mai mancata, in lontananza vedo la fattoria tutto è rimasto immobile, fermo a quel giorno quando me ne andai. Mia madre è sulla soglia di casa, elegante, più magra di allora e curva nella schiena, i capelli sono bianchi raccolti, indossa perle, lo sguardo è sempre quello: severo, arido. 


Mio padre il patriarca, il tempo gli ha tolto parte dell’arroganza, vuole sapere il perché del mio ritorno: “solo pochi giorni, sono venuta a prendere alcune cose che ho lasciato allora: foto, lettere”.

Sono un ospite qui, lo sono sempre stata, entro nella mia stanza, l’unica che mi appartiene e dove sono stata felice almeno da bambina. Dalla porta finestra vedo il recinto dove sono ancora oggi riuniti i migliori cavalli, ne avevo uno nero che amavo cavalcare a pelle.
Sullo sfondo oltre la prateria, le colline ricoperte di foresta dove correvo a nascondermi quando mia madre voleva addomesticarmi alla vita delle brave ragazze.
Prendo le foto, le butto alla rinfusa in una borsa, una cade in terra, la raccolgo, siamo Raquel ed io a undici anni. Raquel, mia sorella!

Non si dovrebbe parlare così di una sorella: “la odio, l’ho sempre odiata!”
Raquel, abile nel nascondere, cambiare, truffare, fingere, usare; avida di potere, di attenzioni. Raquel tanto perfetta agli occhi di tutti, una vipera dal veleno mortale, che ottiene ogni cosa con l’inganno.
Gemelle identiche nell’aspetto ma diverse nell’animo, io ribelle a causa sua, perché mi dovevo difendere dai suoi soprusi, ingenua e vittima della sua avidità.
Giocava, Raquel, alla brava ragazza e si spacciava per me quando, affamata, divorava la vita. Sciocca io nell’essere diretta e sincera incapace di difendermi dalle sue innumerevoli bugie.
Per mia madre ero sporca, marcia, per mio padre avevo infangato la buona immagine di famiglia perbene.
Credevo fosse a causa del mio carattere ribelle, invece era a causa di Raquel, delle sue bugie. Cambiava uomini come fossero abiti; li prendeva, li gettava e alla fine loro la odiavano, e non ci volle molto ad infangarne il nome, ma il nome era il mio: Gilda!
Avevo mentito, non sarei rimasta qualche giorno, quelle poche ore erano già troppe, presi la borsa dove avevo messo le foto, alcune lettere e piccoli oggetti di me bambina: un fermaglio per capelli scelto in una bancarella durante la festa del paese, unico desiderio assecondato da mia madre.
Andai verso la stalla volevo vedere i cavalli: era una tradizione la nostra, i cavalli migliori, dei campioni, ho sempre avuto facilità ad avvicinarli, fieri e selvaggi.
Accarezzai i loro musi caldi, gli occhi grandi e languidi, timorosi, diffidenti per il loro essere in trappola.
Uscendo mi soffermai a guardare le foto dei gaucho, di tutti quelli che avevano reso grande la fattoria, incuriosita guardai le ultime foto quelle degli ultimi dieci anni: Johnny? Il mio Johnny?






Marlene, lettere ad un amico


Mio caro amico,
dovete perdonarmi se vi scrivo dopo così tanto tempo.
Sapete della mia grande passione per il canto e di quanto ho lottato per portare in scena la mia musica.
Eravate presente ai miei inizi, foste voi a sostenermi durante quegli anni bui, il vostro aiuto mi fu di conforto e la vostra casa mi accolse come fossi una sorella.
Foste voi a indurmi a credere in me stessa e sempre voi ad introdurmi in quella società di nobildonne e gentiluomini.
Iniziai ad esibirmi in qualche piccolo teatro e grazie a voi un pubblico colto e raffinato non mancò mai. Più tardi come sapete raggiunsi un discreto successo anche nel mondo cinematografico.
Fu la collaborazione con il vostro caro amico Jens von Selman  tanto preziosa, che mi portò ben presto alla fama nel mio Paese.
A nessuna donna era mai stato concesso di rappresentare un personaggio così ambiguo, forte, deciso, e certo non avrei potuto sostenere una tale parte se non vi fosse già stato in me quella particolare caratteristica capace di incantare sia uomini che donne allo stesso modo.
Fu lui che mi plasmò cogliendo dal mio animo la materia principale ch’io pure non sapevo di avere o come usare.
Col tempo mi diventò facile la seduzione, riuscivo distintamente a passare dall’animo maschile a quello femminile, sentivo come un potere dentro di me, il potere della suggestione che diventava ogni giorno più forte e allo stesso tempo una necessità a cui non potevo sottrarmi.
Non so dirvi mio caro, se fu la brama di fama o se fu la brama di possedere quelle anime adoranti.
Ogni cosa peggiorò nel momento in cui toccai il suolo di quel Paese che voi adorate, così luminoso, aperto, nuovo e capace di ingigantire e costruire cattedrali dal nulla.
Sono certa che leggendo queste poche righe non mi approverete, perché nulla di ciò che conoscevate ritrovereste in me; per questo non vi ho cercato al mio arrivo in America.
Non potrei sopportare la vostra disapprovazione, il vostro sguardo indagatore alla ricerca dei cambiamenti di cui vi ho parlato; o peggio ancora sopporterei di vedervi con occhi sognanti accecati dall’immagine che rappresento.
Spesso mi trovo a pensarvi e a chiedermi come vivete, cosa avete fatto in questi lunghi anni, chi vi è più vicino e se sapendomi qui perché non mi avete mai cercata.
Ricordo con tenerezza i momenti passati insieme, a casa vostra, quando per incoraggiarmi suonavate il piano correggendomi nel canto.
Quanto tempo mi avete dedicato ad insegnarmi l’uso di strumenti musicali per i quali non sarei mai stata stata abile.
Sola nella stanza a volte ripenso a quando stavo accoccolata accanto al fuoco nel vostro studio mentre voi leggevate libri tentando di infondermi conoscenza di letteratura e musica e storia.
Non sono più tornata a casa, sapete? Non credo ci tornerò.
Vi sono troppe cose dolorose nel mio Paese, cambiamenti che non ho mai approvato e che mi disgustano.
Vorrei tanto sapere cosa ne pensate.
A dire il vero vorrei ritrovare quel caro amico che tanto conforto mi ha sempre dato, perché quel che ho dentro è ancor peggiore di quel che finora vi ho accennato di me.
Non so se troverò il coraggio di dirvi tutto, non so nemmeno se troverò il coraggio per spedirvi questa lettera.

MD



Mio caro amico,
arrivata qui in America ho abbandonato completamente la vita riservata che ho sempre fatto in Germania. Lavoro duramente per molte ore di seguito e per lunghi periodi; ho con me i soliti fidati collaboratori da cui non voglio mai separarmi, mi da una certa sicurezza averli intorno; nello stesso tempo ho conosciuto molte altre persone.
Gli studi di Hollywood  sono giganteschi e ad ogni film collaborano un numero incredibile di addetti, attori e tecnici.
Sapete quanto sono sempre stata meticolosa nel prepararmi ad interpretare un personaggio, posso dirvi mio caro che questa mia caratteristica è stata ben accolta; meno vengono tollerati i capricci da diva che comunque non mi appartengono.
Vi sono anche un gran numero di produttori registi autori e personaggi non definiti provenienti dal mondo politico; sembra che in questo Paese giri un enorme interesse intorno al cinema e alle sue prime donne.
Mi sono abituata presto a queste attenzioni che si protraggono anche ben oltre il lavoro, in serate mondane.
Sareste orgoglioso di me nel sapere che sono riuscita ad ottenere un contratto molto favorevole che mi rende libera di scegliere il regista con cui lavorare.
Voglio essere sincera amico mio caro, purtroppo sempre meno riesco ad uscire dal personaggio che rappresento.
Mi sembra di non poter più ritrovare quella me che divise con voi tanti bei momenti. Ogni attimo della mia vita è riempita da quel mondo, anche quando sono chiusa nella mia casa con mia figlia basta un attimo che la quiete viene interrotta dall’arrivo di qualcuno della produzione o della stampa.
Devo assolutamente ammettere che sono grata, moltissimo, a quanti credono in me e mi permettono di vivere in questo Paese, dal momento che il mio, anzi il nostro Paese sta producendo  un tale male del quale io mi dispero e contro il quale non saprei cosa fare. Se fossi stata in Germania ora sarei morta di paura non sapendo come poterne scappare. Mi addolora percepire che un intero popolo, il mio, avvalla le idee e i modi di quel visionario. Forse non vi ho mai detto che la mia famiglia ha avuto nella sua genesi un ceppo di origine ebraica.
Permettetemi di lasciarmi alle spalle questi tristi pensieri e torniamo al mio personaggio.
Ci credereste mai che sono l’unica donna che veste panni da uomo mietendo vittime tra loro? Figuratevi più mi mostro altera, fredda e distante e più gli uomini mi desiderano e mi bramano. Sono incuriositi ma allo stesso tempo spaventati, e comunque tutto qui ruota intorno al denaro ed io ne ho guadagnato molto credetemi.
Ma la cosa più stupefacente di tutte sono le donne che vedono in me rappresentato l’uomo che vorrebbero, freddo austero ma allo stesso tempo dolce e comprensivo capace di percepire i loro più nascosti desideri.
Vi prego non giudicatemi, anzi datemi utili consigli come avete sempre fatto.

MD




Mio caro amico,
vorrei raccontarvi della lotta tra le produzioni di Hollywood  per ottenere sostenitori e finanziatori, una guerra per il potere giocata tra una festa ed una première; feste dove io sono la star acclamata, antagonista della nuova diva della MGM.
Una tale noia credetemi.
Fu proprio ad una di queste feste che per noia mi convinsi di parteciparvi in abiti maschili.
Per l’occasione mi feci confezionare uno smoking; imposi alle sarte di prendermi le misure delle sole spalle e dei fianchi evitando di sottolineare il punto vita.
Ogni dettaglio, compreso i gemelli per i polsi, era di foggia maschile. L’acconciatura dei capelli doveva essere raccolta in modo che l'impressione fosse quella di capelli corti da uomo. Anche l'abbigliamento intimo l’avevo voluto coordinato; ricordo che indossandolo lo trovai estremamente scomodo. Nessun gioiello e un trucco drammatico a evidenziare lo sguardo reso torbido da ombre scure. Convinsi tutti che sarei arrivata alla festa in taxi e così feci.
Non ebbi difficoltà a mischiarmi nella folla senza essere notata, sapete mio caro a quelle feste potete trovare qualsiasi cosa. Donne eleganti o volgarmente vestite, strani individui di cui non potrei definirne la natura, satiri e molta altra strana umanità.
Mi aggiravo tra la folla di giovani donne ebbre di champagne, incrociavo i loro sguardi finché uno di questi particolarmente languido attirò la mia attenzione.
Apparteneva ad una giovane dai lineamenti delicati, il viso di porcellana con la bocca a forma di cuore,  lunghi capelli neri scendevano sino alle spalle in morbide onde facendo risaltare il ceruleo degli occhi. Indossava un abito argento che metteva in risalto l’esile figura rendendola eterea anche a causa dell’incarnato chiarissimo.
La avvicinai, era molto più piccola di statura rispetto a me nonostante non indossassi i tacchi.
Le chiedi “Ballate mia cara”? Mi tese la piccola mano - era eccitante - le cinsi la vita e ci spingemmo tra la folla, suonavano un valzer. Non mi fu difficile trascinarla nella danza, la strinsi più forte facendola aderire al mio corpo, fui inebriata dal suo profumo - l’avevo usato in passato su di me - fui stupita di sentirlo nel naso associato all’odore di quella donna.
Cercai mentalmente di ricordare ciò che avevo vissuto per riproporlo al contrario, io nei panni di un uomo. Così cercai di guardarla come molte volte ero stata guardata.
La fermai in mezzo alla sala, per alcuni lunghissimi istanti fissai i miei occhi nei suoi, poi continuando a guardarla la baciai.
La lasciai lì sola, avevo bisogno di aria e di champagne!
Ditemi che non pensate cose tremende di me! Vi prego!
Non avevo mai interpretato un parte così distante dal mio essere, ma ero curiosa e volevo usare tutte le mie capacità perché in quel modo un uomo non lo avevo mai percepito.

MD



Mio caro amico,
vi scrivo questa volta sperando nel vostro aiuto concreto perché l’ansia, la paura anzi il terrore nato dagli ultimi avvenimenti non mi fanno più vivere.
Era un momento di calma, non avevamo registrazioni, ne prove; gli addetti al montaggio erano gli unici impegnati, oltre al regista che dava loro dettagli e coordinate.
Quel giorno fui invitata con urgenza dal mio agente agli studi della Paramount.
Fui molto seccata al principio perché non amo essere convocata senza sapere qual’è l’ordine del giorno. Quando arrivai agli Studios trovai i vertici riuniti al completo.
Notai solo successivamente due persone, che non avevo mai visto prima, sedute in disparte.
Presi posto al vertice del grande tavolo, che in questa occasione era completamente libero: nessuna story-board, nessuna relazione, nessuna sceneggiatura, nulla.
L’aria era tesa, i volti lividi. Tutti mi guardavano.
Il mio agente prese la parola: aveva ricevuto una missiva da parte di Goebbels, nella quale dopo una lunga serie di melliflui complimenti da parte di Hitler sulla mia personale bravura, reclamava la mia presenza in patria quale degna rappresentante del nazismo. Per l’occasione inviava anche un fitto programma di apparizioni presso le alte cariche del regime.
Vi potete immaginare la mia reazione: mi si raggelò il sangue nelle vene, per un momento non riuscii a respirare.
Sapete quanto ho sempre odiato e disapprovato il nazismo, e quanto ho odiato i miei compatrioti per avere in massa sposato la causa del regime.
Ma questo non è tutto, amico mio, non posso dirvi altro al momento, ma ho necessità di incontrarvi al più presto.
Fatemi sapere quando possiamo vederci.

MD



Diario, 30 Giugno 1939

Gli addetti ai bagagli mi hanno appena portato in cabina i due bauli con gli abiti di scena, sono sul transatlantico Mauretania II partito da New York e sto tornando in Germania.
A voi mio caro amico ho affidato la mia vita, sapete quanto mi costa seguire i vostri consigli, so che sono preziosi ma speravo la vita non mi chiedesse tanto.
Jens von Selman mi accompagna e con noi viaggiano una decina di persone: truccatrici, sarte, tecnici.
Arriveremo a Southampton in pochi giorni, poi dovremo proseguire in treno fino a Berlino.
Ho chiesto alla mia assistente di non essere disturbata per tutta la durata della traversata, consumerò i pasti in cabina e non voglio ricevere visite.
Non posso scrivervi, quindi affido a questo diario improvvisato i miei pensieri.
Ho qualche giorno per prepararmi, per riflettere; devo assolutamente vincere la repulsione che ho per quell’essere orrendo e folle così abile nell’aver colto le difficoltà del mio popolo, e quel Goebbels ministro della propaganda che controlla ormai tutta l’informazione dalla stampa, al cinema, al teatro.
Ricordate i due personaggi seduti in disparte di cui vi accennai nella mia ultima lettera? Bene, loro erano rappresentanti del governo americano e tramite loro appresi del vostro ruolo. Allora mi sembrò di entrare a forza nella trama di un film del quale non avevo avuto sceneggiatura e copione. Non volli dirvi apertamente che sapevo della vostra vita segreta durante il nostro incontro, foste voi a spiegare.
Ammetto che da quel momento in poi mi sono interrogata molte e molte volte sui fatti che stavano accadendo in Germania e a causa loro in Europa; comprendo la drammaticità degli sviluppi di tale mira espansionistica e mi preoccupa quella fissazione  hitleriana che vuole reprimere e isolare tutti quelli che considera diversi.
Sono ancora frastornata e non so se ho deciso di seguire i vostri consigli in modo consapevole o se voi, mio caro amico, siate un abile incantatore, ma ormai sono qui e non posso tornare indietro.
Ricordate quella giovane dagli occhi cerulei e la bocca a forma di cuore?
Lei è qui con me!

MD