ghiaccio



la libreria
(racconto breve I parte)








La descrizione del luogo che stavo leggendo nel libro assomigliava curiosamente al paesaggio che potevo vedere fuori dalla mia finestra, bastò questa riflessione per farmi alzare gli occhi e cercarne conferma.
 
Oltre la grande finestra i campi erano ricoperti da una coltre di ghiaccio spessa che rifletteva i raggi del sole filtrati attraverso pesanti nubi cariche di pioggia. Gli alberi che ne delimitavano il perimetro sembravano addobbati da pendenti d’argento. La mancanza del sole diretto non impediva alla luce bianca di essere accecante.
 
Sergei aprì gli occhi e subito li richiuse colpito da quel bagliore.
Si sentiva indolenzito e dolorante a causa del freddo che era penetrato in tutto il corpo, il volto bruciava a contatto col terreno ghiacciato. Cercò di muoversi  superando il dolore che gli provocava ogni lieve movimento, non aveva sensibilità nelle mani e non sentiva le gambe. 
 
Provai un brivido, mi rannicchiai ancora di più sotto la pesante coperta di lana. Ripensai a quell’uomo con la sciarpa e il libro sotto il braccio che avevo incontrato sul viale all’uscita della biblioteca.
Era alto come Sergei, spalle larghe, gambe lunghe, passo veloce, avvolto in un cappotto striminzito nero col bavero alzato, intorno una sciarpa grigia troppo leggera per proteggerlo dal freddo pungente.
 
Alcuni particolari riaffioravano alla memoria: il luogo buio in cui era stato rinchiuso per un tempo indefinito e quell’uomo che gli portava il pasto di cui aveva solo potuto scorgere la sagoma. Ora ricordava la fuga, cieco perché non sopportava la luce, e le continue cadute a causa dei rovi e degli avvallamenti del terreno che intravedeva appena.
Non riusciva a capire come avesse potuto trovarsi in quella situazione tanto assurda, lui non era altro che un topo da biblioteca, non faceva altro che leggere libri, lo aveva fatto per tutta la sua vita. Eppure qualcuno voleva da lui che rivelasse i segreti che conosceva!
 
Riflettei che anche l’uomo con la sciarpa sembrava un topo da biblioteca.
 
Era senza forze ma sapeva che doveva rimettersi in piedi e doveva farlo in fretta. Raccolse tutte le energie.
 
Il tepore del mio corpo avvolto nella coperta mi fece cadere in un leggero sonno.
Mi ritrovai in quella strada polverosa che avevo visto molte altre volte nel corso della mia vita, correvo o, meglio, scappavo, sapevo di essere inseguita. Lei era dietro di me anche se non la potevo vedere, subdola cercava di rincuorarmi con parole di miele. Scorsi quella nera signora sul balcone, rabbrividii; la strada ora era diventata un vicolo su cui si affacciavano degli strani negozi senza vetrine aperti sulla stradina, nessuna mercanzia era esposta ma uomini mi rassicuravano dicendomi che lei non mi avrebbe fatto del male. Il terrore aumentava i battiti del cuore; in fondo, una piazza, e nel mezzo un traliccio della luce in legno. Lo raggiunsi e vi salii sopra fino in alto nonostante le vertigini, e lei, lei ora mi aveva raggiunto.
Sembrava piccola laggiù, indifesa, e mi sentii in colpa per non averle creduto, eppure sapevo che mentiva! Mi svegliai, la paura che ancora sentivo mi rendeva impossibile muovermi. 
 
Doveva trovare un riparo, doveva alzarsi o sarebbe morto.
Aveva la testa piena di domande, gli bruciava, e non riusciva a collocare nel tempo l’ultimo ricordo di vita “normale”.
 L’ansia per il pericolo che avvolgeva la vita di Sergei mi fece dimenticare la sensazione sgradevole che mi aveva lasciato al risveglio il mio solito sogno.
 
Già, pensò, una vita normale, la sua vita “normale”.
Si vedeva seduto sempre allo stesso tavolo dietro lo scaffale dei libri di storia antica, un luogo in cui poteva stare da solo, in disparte rispetto agli altri lettori, e lì non visto perdersi per ore a studiare. Era molto fornita la biblioteca della città in cui viveva, ma soprattutto poteva richiedere libri particolari che facevano arrivare dalla più grande città vicina.
Aspettava sempre con ansia il nuovo arrivo e quando finalmente riusciva ad avere il volume tanto desiderato correva fuori col libro sotto il braccio percorrendo veloce il viale alberato.
Curiosa coincidenza, pensai, il viale alberato della biblioteca: mi ripromisi di controllare lo scaffale dei libri di storia. Continuai a leggere.
 
Finalmente riuscì a rimettersi in piedi, guardò intorno cercando un riferimento verso il quale andare ma non c’era altro che steppa e fitta boscaglia coperta da uno strato di ghiaccio. Iniziò a correre, sapeva che presto sarebbe arrivata l’oscurità e il gelo lo avrebbe intrappolato in una morsa mortale. 
Sfinito, incapace di ragionare sulla cosa giusta da fare; ormai si era addentrato nel fitto della boscaglia e tutto poteva aspettarsi meno che incontrare una casa o un essere umano, pensò che non potesse il destino avergli riservato una fine tanto crudele.
Il terreno era ricoperto di foglie ingiallite dall’autunno perfettamente conservate nel ghiaccio che le ricopriva, e queste rendevano la sua corsa un continuo scivolare e rialzarsi, le mani ormai sanguinanti avevano perso totalmente la sensibilità delle falangi, all’ennesima caduta perse i sensi.
 
 
Scorreva lenta la mia vita. L’inverno era particolarmente rigido, il freddo non invogliava certo a stare all’aria aperta. Uscivo di malavoglia al mattino per recarmi al lavoro e anche in quel luogo nulla mi aiutava a distrarmi dalla noia che sentivo invadermi l’anima. Alla fine della giornata, finalmente sollevata, correvo a casa dove nessuno mi aspettava a parte lui, il protagonista del libro.
Sergei mi sembrava così simile a me, come un’ombra grigia e insignificante; i cui passi nessuno avrebbe sentito, il cui sguardo nessuno avrebbe mai incrociato; quasi non avesse nessuna consistenza nel corpo.
 
Eppure, qualcosa era accaduto, qualcosa che lo rendeva l’unico protagonista.
Nutrivo in me la speranza di trovare quello spunto che rendesse anche la mia vita diversa, trovare la chiave di ciò che lo aveva reso un essere umano fatto di carne e sangue, dove il dolore era vero e reale e non un dolore dell’anima.
 
L’oscurità lo avvolgeva eppure si sentiva al sicuro, che fosse stato tutto un incubo? Aprì gli occhi, era in un letto, la stanza nella quale si trovava era piuttosto spoglia e povera. Cercò di alzarsi benché fosse indolenzito, guardò le mani e non c’era traccia del gelo provato, poi scorse in fondo alla stanza, seduta su una seggiola col capo appoggiato al tavolo, una ragazzina addormentata.
Rimase seduto sul letto cercando di riordinare le idee, ma aveva una sola domanda: - perché?
A distoglierlo dai suoi pensieri, senza che avesse percepito alcun movimento, la ragazzina, in piedi, proprio davanti a lui, gli porgeva un piatto fumante: -Grazie - Era alta e magra, dai lineamenti grezzi e i capelli arruffati di un colore indefinito, vestita a strati con abiti di lana grossa dai colori sgargianti, sformati e sporchi.
Sergei aveva preso a mangiare avidamente, era affamato e aveva la gola in fiamme, poi si accorse che la ragazzina era rimasta lì in piedi davanti a lui lo sguardo fisso sul pavimento, immobile come una bambola ad eccezione della mano destra con cui stringeva il vestito in un movimento ripetitivo e innaturale. Posò il piatto vuoto sul letto.
Solo in quel momento si accorse che il movimento corrispondeva anche ad un rumore meccanico appena percepibile.
Era come un lieve stridio, guardò intorno e vide una radio mezza rotta abbandonata sul pavimento. Ascoltando meglio si accorse che era accesa e che gracchiava a causa della pessima sintonia.

Si dimenticò della bambina, doveva trovare qualcosa di reale in mezzo a quel nulla, qualcosa che lo riportasse alla vita, alla sua vita di sempre.
Alzò il volume e iniziò a cercare un canale, la radio emetteva suoni striduli sempre più forti, la ragazzina cominciò ad urlare e a correre agitata per la stanza. Finalmente riuscì a trovare una stazione dove c’erano delle persone che parlavano, una lingua incomprensibile per lui. La ragazzina si fermò, come tranquillizzata.
 
Decisi di andare in biblioteca quel giorno a cercare la sezione dei libri di storia, avevo la sciocca speranza di incontrare quell’uomo con la sciarpa leggera che avevo incontrato una volta e che mi ricordava Sergei. Avevo chiesto un paio d’ore di permesso al lavoro, perciò, il pomeriggio era ancora riscaldato da un tiepido sole, nella fretta dimenticai sciarpa e cappello, l’aria frizzante mi fece rabbrividire. Per un attimo mi prese lo sconforto e pensai di non avere altro da fare al mondo che occuparmi di assurde fantasie originate da un libro.


continua...