blu




racconti brevi e pensieri
(visti con gli occhi di lui)









...


Due sgabelli più in la’ c’è seduta una giovane donna, indossa un abito, nero mi sembra,
che le lascia scoperte le spalle, i capelli scuri sono raccolti sulla nuca.
Mi sono sempre piaciute le donne che si scoprono il collo, e nell’insieme lei ha un aspetto invitante. 
Si sente osservata e si gira dalla mia parte, ha lineamenti delicati, occhi grandi e labbra rosse carnose. Accenna un sorriso.
Sono uscito per stare da solo e non ho nessuna voglia di fare la sua conoscenza, eppure qualcosa di lei mi piace e voglio continuare a guardarla.  
L’aspetto è sobrio eppure esprime una forte sensualità che mi attira, mi incuriosisce; sono piccoli gesti che fa con le mani mentre si porta il bicchiere alle labbra, è seduta ma il corpo è flessuoso, ha caviglie sottili. In un angolo del locale doveva esserci un piccolo palco, che entrando non ho notato, perché ora si sono accese le luci e degli uomini con gli strumenti si stanno preparando a suonare.
Accordano gli strumenti, qualcuno applaude. Inizia la musica.
Torno con lo sguardo alla giovane donna che ancora mi guarda, posa lentamente il bicchiere sul banco.
Scende dallo sgabello, l’abito è lungo e ora le copre le caviglie.
Muove passi leggeri nella mia direzione, io non distolgo lo sguardo da lei.
La musica aumenta il ritmo, lei ora mi è vicinissima, ha gli occhi scuri come la notte ma ardono di una strana passione, il sorriso è deciso lo sguardo fiero.
Si ferma per un attimo, con una mano scioglie i capelli che cadono come morbide onde oltre le spalle. Muove il capo leggermente di lato e una ciocca le si ferma sul viso, la piccola mano mi sfiora il viso, poi con un movimento deciso e aggraziato si muove verso il centro della sala, dando piccoli colpi col tacco.
Suonano un flamenco e lei è la ballerina. Mi godo lo spettacolo inatteso e piacevole.
Finisco il mio whiskey, finisce la musica.
Ripercorro la strada che ho fatto all’andata; ha smesso di piovere, non sento più freddo.






I sette vizi capitali


Vesto la maschera della SUPERBIA, quella che mi cucite addosso, in base al mio stato sociale, perché non vi importa chi io sia veramente.

Sono AVARO perché tengo per me i miei sentimenti più veri che più volte sono stati calpestati.

Ho conosciuto la LUSSURIA quella dell’abbandono al puro piacere e poco mi importa chi tu sia basta che tu sia al servizio del mio piacere. Perché l’amore, quello mi ha deluso ed ora l’ho nascosto in fondo al cuore chiuso con un lucchetto. 

Sorrido della vostra INVIDIA per ciò che credete io abbia, e INVIDIO tutti quelli che sembrano non avere nulla ma sono felici.

Sono GOLOSO di cibo, e sono GOLOSO di sensazioni.

L’IRA è la mia vendetta.


L’ACCIDIA mi rende inerte e incapace di provare dolore, mi rende indifferente triste e malinconico. 







...



La nebbia avvolge ogni cosa fuori dalle mie finestre, mi coglie un senso di angoscia, e devo uscire.
Prendo l’auto e guido quel poco che basta per lasciarmi la nebbia alle spalle.
Mi piace stare da solo in mezzo alla gente, camminare per le vie del centro cercando di evitare quelli che camminano in senso contrario.
Ma quella sera anche lì una nuvola biancastra offusca la vista e a malapena scorgo qualche coppia di ragazzini infreddoliti nei loro abiti striminziti.
Ho la sensazione di essere seguito! Ma dai, cavolo, non sono mica il tipo che si spaventa a camminare da solo per le vie di un centro ormai quasi deserto.
Mi volto, in lontananza ti vedo; i tuoi occhi puntano me, mi fermo e tu ti fermi.
Proseguo, ti tieni in distanza, ma ora sono certo che mi stai seguendo, non c’è più nessuno intorno.
Finalmente trovo un bar aperto, entro. Non c’è molto da mangiare sul banco a parte un panino con la cotoletta che sembra di plastica; lo prendo fa al caso mio. Chiedo dell’acqua, pago ed esco. Tu sei ancora lì.
Butto il pane e ti lancio pezzetti di carne, ti fai coraggio e ti avvicini.
Non è molto lo so ma lo divori in un secondo, avvicino la mano e ti offro dell’acqua, non ti fidi e resti in disparte. Ok ho capito non è una buona serata per stare in giro, torno alla macchina.
Hai accorciato le distanze ma sei indeciso, ti invito ad entrare in auto, potrei congelarmi aspettando la tua decisione, poi finalmente sali. 
Sembri un sacco di pulci, sei sporco e hai il pelo tutto arruffato e bagnato, ti guardo mentre ti lasci andare al tepore e alla stanchezza, inorridisco al pensiero di come mi lascerai il sedile. A casa ci aspettano due belle bistecche con l’osso, una birra per me e una cuccia improvvisata per te.

Io mi chiamo Ale e tu?






L'immorale Arte


Vi sono luoghi solo miei in cui posso dare spazio e voce all’uomo romantico forse un po’ decadente o datato, eppure anche in quei luoghi asettici l’altro me ambisce a rubarsi la scena. Prende il sopravvento e in fondo io me ne compiaccio, tanto credo che l’altro sia solo un debole derelitto che si piange addosso. 
Nell’uomo la guerra da sempre lo anima: non v’è differenza alcuna se essa sia interiore oppure sul campo. Credo ormai di sapere chi dei due me sopravviverà alla lotta. Quell’anima più oscura che si nutre avidamente di tutto ciò che gli sta intorno, che cede all’adulazione, e si lascia sopraffare dalla sua vanità. Aver delle fortune senza una morale, o chiuderla in una soffitta per goderne appieno ti rende un diavolo tentatore a sua volta tentato da orrendi diavoli che di te si nutrono. Dame e cavalieri toccano la superficie traslucida e impenetrabile si saziano dell’immagine che tu rifletti e bramano di averti per risplendere della tua stessa luce effimera. Adorato per la sopraffina Arte non cerco altro che la perfezione del cerchio, perciò che me ne faccio del buono d’animo.   
Ma scommetto che voi tutti inorriditi, disprezzando mi direte: di esser solo buoni e senza macchia o ombra alcuna ad insozzar l’anima vostra più profonda, tanto retti da non aver mai ceduto all’immorale Arte.
Ed io vi credo miei cari; e mai vorrò mettervi alla prova!